La maniera nera non è uno strumento, ma una tecnica. L'incisore deve in un primo tempo preparare la lastra di metallo. Oggi si adoperano più frequentemente lastre di rame, zinco, ma anche ferro, ottone, alluminio dello spessore di circa mm. 1-1,5.
Con una speciale mezzaluna d'acciaio dentata, chiamata berceau, si ricopre la superficie in modo talmente fitto di segni (operazione detta di granitura della lastra) che, se inchiostrata e stampata, conferirebbe ai fogli un'immagine completamente nera. A questo punto, con I'aiuto di raschietti e di altri strumenti idonei (come il brunitoio o la pietra d'agata), I'incisore schiaccia o raschia via la granitura del metallo ottenendo in tal modo i bianchi e i grigi voluti. Questa tecnica viene anche chiamata mezzotinto ed è molto indicata per ottenere chiaroscuri particolarmente morbidi.
Un'altra possibilità d'intervento sulla lastra e data dalla granitura chimica.
Come per la puntasecca la lastra viene lucidata e pulita; poi spolverata con una resina di origine naturale, la colofonia, la lastra viene fatta riscaldare sopra un becco bunsen (un fornelletto) , in modo che la resina sciogliendosi aderisce sulla lastra, lasciando minuscole parti scoperte. Dopo aver protetto tutta la parte posteriore e i bordi con del nastro da imballaggio, la lastra viene immersa in acido. L'azione "mordente" dell'acido in cui viene immersa creerà una trama scura non del tutto nera.
Per questo motivo viene ripetuta diverse volte (anche 4-5 volte) la spolveratura e la morsura in acido. Fatta una "prova del nero" si può procedere come sopra, schiacciando la granitura con la pietra d'agata o con il brunitoio.
Si passa all'inchiostratura mettendo la lastra di metallo sopra un piano riscaldato o su un fornelletto. Con una racla (spatola) di plastica morbida si distribuisce l'inchiostro calcografico, reso particolarmente fluido dal calore. Si procede con la pulitura dall'inchiostro in eccesso. Tutta la superficie della lastra, viene pulita tramite delle garze, fogli di carta velina e in certi casi anche il palmo della mano. A seconda del risultato che si vuole ottenere, si possono lasciare zone leggermente velate o insistere maggiormente a pulirne altre. La lastra così inchiostrata verrà posta sul piano del torchio, facendo attenzione alla posizione in cui viene messa. Sopra la lastra verrà appoggiato un foglio di carta. Le carte usate in calcografia, per adattarsi al tipo di stampa (e cioè per riuscire, sotto pressione, a raccogliere I'inchiostro dentro segni anche sottilissimi), sono spesso fabbricate a mano foglio per foglio (le più pregiate) da stracci di cotone di prima scelta. Devono contenere pochissima colla, ma devono essere nello stesso tempo molto resistenti per reggere senza strappi alla pressione del torchio. Un tipo di carta molto utilizzato è la cosiddetta "rosaspina" che può avere diversi toni di bianco e puo essere filigranata. Le dimensioni del foglio sono decise dallo stampatore.
La carta precedentemente messa a bagno in modo da farne gonfiare le fibre, così da raccogliere meglio l'inchiostro dall'incavo dei segni é fatto sgocciolare nello sgocciolatoio fra fogli di giornali vecchi.
Il foglio viene posizionato sopra la lastra, sul piano del torchio, viene coperto da un feltro per ammorbidirne la pressione e viene fatto passare con uno slittamento veloce e continuo attraverso i rulli del torchio. Il foglio così pressato sulla lastra, tratterrà l'inchiostro presente nella granitura. Ogni opera stampata viene firmata e numerata (numeratore e denominatore) a mano dall'incisore, a matita, e su ogni foglio secondo la dichiarazioe del Comité National de la Gravure a Parigi del 1937. La tiratura deve essere sempre limitata così come le prove di stampa e d'autore. Terminata la tiratura la matrice viene biffata (sfregiata) allo scopo di impedire altre tirature.